Celebrare la Pasqua per Mare

Museo Galata: Celebrare la Pasqua per Mare

NEL MEDIOEVO 

Sino dagli esordi della navigazione, l’uomo si è imbarcato non solo con i suoi attrezzi, i remi, le vele, il timone e le sue merci e provviste, ma ha portato con sé le sue credenze e la sua religiosità.

Ne sono prova, nei tempi più antichi gli “occhi apotropaici” sulle imbarcazioni, o i simulacri che venivano montati sulle prore e di cui la Nike di Samotracia è l’esempio più eclatante.

Con l’avvento del cristianesimo, subentrano nuove forme di culto che si adattano alle circostanze della navigazione. E’ il caso del calendario liturgico cristiano, che viene adattato a quello meteorologico: perciò si naviga fino alla Festa di San Michele (29 settembre) e, dopo, avviene la pratica della “chiusura del mare” – tranne la pesca o il cabotaggio a corto raggio. Le imbarcazioni vengono alate sulla riva, ed entrano in sciverno. E’ il “letargo” delle navi che durerà fino alla Pasqua e, in particolare, sarà considerato di cattivo auspicio partire durante la Quaresima e, soprattutto, nella Settimana Santa. Al contrario, passata la domenica di Pasqua, il mare verrà “riaperto”, e patroni, comiti e mercanti, che si erano preparati per tempo potranno mettersi in viaggio, anche per le destinazioni più distanti certi della protezione della Vergine, dei Santi (a cui spesso le navi venivano intitolate) e anche del favore del bel tempo della stagione primaverile ed estiva.

IN ETA’ MODERNA

Dal tardo medioevo in avanti, le esigenze della società, del commercio e della guerra non consentono più la “chiusura invernale” del mare. Peraltro, a partire dal Duecento, con l’adozione della bussola e della carta portolanica, l’esigenza di navigare in vista di costa viene meno e si possono affrontare viaggi in mare aperto, anche durante la stagione invernale. Certo, si evita di partire in Quaresima, ma se sì è già in viaggio, si prosegue.

Questo non significa un minor peso della religione a bordo, anzi: soprattutto con i nobili, e i re, viaggiano i chierici e questi sono attrezzati con piccoli altari da viaggio, in modo da celebrare la messa per sé e per i loro signori.

Le navi – già a partire dalle Crociate – diventano più grandi e allora, oltre la messa celebrata a bordo, si inventa, a bordo, la “processione”: passeggeri (ed equipaggio), dietro a un crocefisso percorrono i ponti della nave, di solito stazionando presso gli alberi e, così, ad esempio vengono praticate anche le Via Crucis a bordo. A volte, a bordo – capita ad esempio alle grandi navi genovesi impiegate in Oriente nel XV secolo – ci sono fedeli di religioni diverse. Un viaggiatore lascerà la testimonianza che, sulla sua nave, c’erano i fedeli musulmani che facevano la loro preghiera comune il venerdì, mentre il giorno successivo, erano i viaggiatori ebrei a celebrare il sabato e la domenica, infine, erano i cristiani a celebrare la messa.

 

 

NELL’OTTOCENTO

Con l’oceanizzazione della marina mercantile nell’Ottocento, i viaggi non conoscono più confini né limiti di tempo: si viaggia sempre, anche a Natale e a Pasqua. Tuttavia ci saranno richiami nel diario di bordo, al fatto che quella è una giornata speciale e il comando accorderà – se è possibile – un pasto più ricco, nei limiti di quella che era la cucina di bordo dell’epoca. A bordo dei velieri non ci sono preti né religiosi – salvo casi speciali, come velieri impiegati nel traffico d’emigrazione – ed allora è il comandante ad assumere la funzione religiosa.

E’ colui che recita la preghiera, tante volte solo perché è l’unico che sa leggere, quando ad esempio muore qualcuno e va seppellito in mare. A bordo, quasi sempre nel quadrato, il luogo di poppa dove vive il comandante, consuma i pasti e riceve gli ospiti, c’è un’immagine religiosa: quando la nave è in difficoltà, in mezzo a una tempesta, il mozzo o il marinaio più giovane venivano mandati sottocoperta, davanti all’immagine, a tenere accese le candele e a pregare per la salvezza della nave, con la promessa che, se scampati, si sarebbe saliti al santuario di riferimento a portare il proprio ex voto.

 

NEI TRANSATLANTICI

Tra la fine dell’Ottocento e buona parte del Novecento, il traffico dell’emigrazione sposta milioni di persone da una sponda all’altra dell’Oceano. Tra coloro che viaggiano di più, sia per stare con gli emigrati che per raggiungere diocesi e terre di missione, sono religiosi e religiose. Vescovi, sacerdoti, frati e suore sono una presenza costante soprattutto sulle navi che partono da paesi a maggioranza cattolica, come l’Italia, la Francia e la Spagna. Sono gli armatori Cosulich di Trieste, i primi ad accorgersi delle potenzialità di questo fenomeno. Sui loro transatlantici, Saturnia e Vulcania, oltre a piscine e palestre, realizzeranno le prime “cappelle di bordo” e chiederanno l’autorizzazione per trasportare il “santissimo”, l’ostia consacrata. A partire da queste, su tutti i transatlantici – italiani e non solo – verranno realizzati spazi riservati al culto e la messa a bordo, celebrata tutti i giorni e in forma solenne la domenica, con la presenza di due marinai scelti a lato dell’altare, diventerà uno dei momenti centrali della vita sociale a bordo dei transatlantici. E la stessa settimana santa potrà essere celebrata a bordo con particolare intensità.

 

Nelle foto di Lorenzo Valenti, fotografo di bordo dell’Andrea Doria,

  • Monsignor Natta, cappellano di bordo, celebra l’eucarestia;
  • Un giovane sacerdote benedice le palme e gli ulivi durante la domenica delle palme a bordo di un transatlantico della Società Italia

 

 

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Fonte: Galata Museo del Mare

Di Staff_ReteGenova

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