Porto Antico: Star Wars 1977-2017: i primi quarant’anni di un mito
Il 25 maggio 1977 usciva con una distribuzione risicatissima (appena 37 sale in tutti gli Stati Uniti d’America) il primo episodio di Star Wars (Guerre Stellari, in Italia). A distanza di qualche decennio, sarebbe stato ribattezzato Star Wars: Episodio IV – Una nuova speranza. In quella primavera di quarant’anni fa nessuno avrebbe scommesso un credito galattico bucato sul successo e sulla longevità della saga. Nemmeno lo stesso George Lucas, stremato da mesi di riprese, incidenti di percorso, ritardi di produzione. Pensate che c’è stato il rischio concreto che la 20th Century Fox accantonasse il progetto.
Il riscontro del pubblico, invece, è eccezionale: Star Wars incassa 775.400 milioni di dollari e ottiene ben 10 nomination all’Oscar (portando a casa sette statuette).
Una grande mitologia contemporanea.
È l’inizio di quella che diventerà la più grande narrazione multimediale del ventesimo (e ventunesimo) secolo. Non si tratta di una stima al rialzo: alla trilogia originale (1977-1983) fanno seguito una trilogia prequel (1999-2005) e i sei film previsti a marchio Disney (trilogia sequel e trilogia spin-off ).
Star Wars: #EpisodeIX and Next @IndianaJones Get Release Dates. https://t.co/bfNInk9HbR pic.twitter.com/gSzvu7EE8f
— Star Wars (@starwars) 25 aprile 2017
Narrazioni parallele.
Ma non è tutto: l’insieme del materiale ufficiale pubblicato dalla nascita della saga (l’Universo Espanso, cristallizzato dopo la cessione dei diritti alla Disney nel 2012) si sostanzia, anno dopo anno, in una mole impressionante di narrazioni parallele. Serie TV, film per la TV, romanzi, fumetti, videogiochi, giochi di ruolo, giochi da tavolo, persino adattamenti radiofonici.
Mitologia collettiva.
Dalla fine degli anni ’70, Star Wars diventa una grande mitologia collettiva in costante evoluzione. E dei racconti mitologici ha tutto il respiro: l’etichetta “fantascienza” non è sufficiente per una saga che strizza l’occhio ai poemi epici, alle narrazioni della tradizione popolare, alle filosofie orientali, al racconto di formazione, al bacino del fantasy.
Lucas come Tolkien.
Ed è proprio nel fantasy che Star Wars trova l’unico prodotto culturale del Novecento in grado di vantare un ventaglio di “narrazioni sovrapposte e parallele” di un ordine di grandezza paragonabile: Il Signore degli Anelli, nato dalla penna di J. R. R. Tolkien poco più di vent’anni prima.
Star Wars utilizza sapientemente topos letterari tradizionali, mettendoli al servizio del grande schermo: le sceneggiature della trilogia originale vengono spesso portate ad esempio ai corsi di scrittura per il cinema e hanno fissato uno standard di qualità per le narrazioni di celluloide.
Dalla pellicola a casa vostra.
L’“universo in espansione” di Guerre Stellari ha un impatto enorme sulla cultura pop della seconda metà del secolo scorso, catturando una schiera di fan appassionati e irriducibili che, complici le nuove uscite in sala, contagiano irrimediabilmente le generazioni successive. Questa passione incrementa un giro d’affari immenso a marchio “Star Wars”.
È stato così fin dalle battute iniziali: la Kenner Toys (ora Hasbro), che produceva il merchandising ufficiale, all’uscita del primo episodio esaurì in pochissimo tempo le scorte disponibili. I giocattoli dell’epoca sono oggi diventati dei pezzi rari per collezionisti e appassionati, oggetti di culto e soggetto di mostre d’arte pop.
Tutto, escluso il lanciafiamme.
Ma il merchandising non si ferma al modellismo. Con marchio “Star Wars” è stato prodotto di tutto, dall’abbigliamento agli oggetti per la casa. E la memoria corre immediatamente a Space Balls – Balle Spaziali (1987), la celebre (e divertentissima) parodia di Mel Brooks: in una scena memorabile Yogurt/Yoda presenta il merchandising del film.
“Mettiamo il titolo del film su ogni cosa. Pubblicità! Promozione! Ecco come questo film farà i veri soldi. Spaceballs – la maglietta; Spaceballs – il libro da colorare; Spaceballs – il cestino da pranzo; Spaceballs – fiocchi d’avena; Spaceballs – il lanciafiamme! I bambini lo adorano. Ultimo, ma non meno importante, Spaceballs – la bambola. Me.”
Un’ironia che non si discosta troppo dalla realtà: ci aveva visto lungo George Lucas che, nello stipulare il contratto con la 20th Century Fox, propose di tenersi i diritti sull’utilizzo del marchio. Marchio che, con la vendita della Lucasfilm alla Disney nel 2012, è fruttato a Lucas 4 miliardi di dollari. Pare che il papà di Star Wars si sia pentito di aver ceduto la sua creatura, non approvando le scelte narrative della casa di produzione. Di buono c’è che può sempre asciugarsi le lacrime con banconote da 500 $.
La Forza delle immagini: Ralph McQuarrie.
L’iconografia leggendaria di Star Wars si deve in buona parte all’artista Ralph McQuarrie (1929-2012). I suoi concept originali, commissionati da Lucas, furono decisivi per convincere la 20th Century Fox a produrre il film. È stato proprio McQuarrie a disegnare nei minimi dettagli scene, ambientazioni, veicoli e costumi di molti dei personaggi principali della trilogia originale. Un genio contemporaneo, in pratica, che – oltre a Star Wars – ha collaborato a moltissimi altri film iconici, come E.T. l’extra-terrestre.
Futuro usato.
In ambito estetico è stata incisiva la scelta di Lucas di mettere in scena un “futuro usato”: prima di Star Wars gli universi fantascientifici e futuristici venivano spesso rappresentati con un tripudio di lamiere scintillanti, perfette, inverosimili.
Nella trilogia originale, invece, ogni oggetto è materico, concreto, racconta un uso quotidiano. Dalla plancia analogica e consunta del Millennium Falcon (ispirata agli interni dei sottomarini) alla spassosa scacchiera virtuale, ogni cosa ha una sua storia. Certo, non mancano i set asettici: li troviamo (giustamente) a bordo della Morte Nera: un’arma imperiale nuova di zecca (e frutto anch’essa del genio visionario di McQuarrie).
Uno standard estetico.
La strada vincente del “futuro usato” è stata seguita da altri grandi classici della fantascienza, come Blade Runner e Alien, ed è diventata uno standard estetico per i film d’ambientazione post-apocalittica. In Star Wars, ogni macchinario, ogni navicella spaziale, ha un suo peso e una sua concretezza. Poco contano le obiezioni di chi contesta alla saga un uso arbitrario delle leggi della fisica: l’impatto scenico è verosimile nella sua ridondanza di dettagli, accessori, creature curiose, ed è un piacere lasciarsi ingannare.